L’isola di Arturo

La proposta per il mese di marzo del percorso “Leggere il ‘900 europeo al femminile”. ()
Isola di Arturo Elsa Morante

“...sebbene fossi libero e amassi tanto le grandi imprese, io non uscivo mai dal mare di Procida, verso altre terre.” Queste parole delimitano non solo un confine fisico, quello circostante l'isola di Procida, dentro il quale si muove colui che le pronuncia, ma identificano un ben altro confine, quello in cui si svolge la sua vita e in cui egli creerà il suo mondo, facendo divenire quell'isola, la sua isola.

E' in questa scena primaria che si fonda “L'isola di Arturo”, il capolavoro di Elsa Morante, nonché uno dei più bei romanzi del nostro Novecento, in quanto unisce, in modo straordinario, una fitta trama di significati e di temi con uno stile narrativo affascinante, suggestivo, magico, intrinsecamente poetico. “L'isola di Arturo”, pubblicato nel 1957, è un grande racconto di iniziazione alla vita, quella di Arturo, il suo protagonista, ma filtrato attraverso la dimensione affettiva che ne fa, in realtà, un romanzo di affetti e sugli affetti, sulla loro mancanza e sul loro desiderio, sul loro bisogno e sulla loro scoperta. Di cui Arturo ne vivrà i complessi e tormentati percorsi che lo porteranno da modalità mitizzate di vivere quegli affetti alla loro smitizzazione, corrispondendo ciò al passaggio dall'innocenza assoluta alla sua perdita. In quel suo microcosmo Arturo svolgerà un viaggio esistenziale amplissimo, nell'arco che va dall'infanzia all'adolescenza, durante il quale una serie di esperienze, che si riveleranno per lui “rivelatrici”, lo porteranno da un iniziale mondo interiore idealizzato ad un impatto con realtà che genereranno dolore e disinganno, ma anche l'entrata in una nuova dimensione della vita.

Privo dell'affetto materno, dato che dopo averlo partorito sua madre muore e - di fatto - assente il padre, il quale si allontana spesso dall'isola, disinteressandosi del figlio, Arturo viene svezzato e accudito, nei suoi primi anni, da Silvestro, un giovane balio che lo alleverà amorosamente ma che, a un certo punto, dovrà lasciare l'isola e, a parte la fugace e muta presenza di Costante, un cuoco adibito ai pasti, Arturo si ritroverà a vivere da solo. Ancora bambino, inizierà così a condurre una vita solitaria e selvaggia, nella libertà più assoluta, costruendosi mondi fantastici e immaginari che riempiranno incessantemente quella sua solitudine. La vita di Arturo nell'isola si configurerà come una sorta di Eden primitivo, nello splendore inebriante di quel luogo che egli fa suo, trasformandolo in un luogo mitico e avventuroso, terreno di scorribande e di scoperte, di apprendimenti e di emozioni.

Per Arturo, che nel romanzo narra se stesso bambino, quel momento della sua vita, nella sua rievocazione, diviene un Paradiso perduto, dove l'isola, se pur metafora e specchio del suo isolamento, non è però vissuta come luogo della lontananza e dell'abbandono, ma assume le reminiscenze di un incanto onirico, in cui la vita si svolge intatta e incontaminata, divenendo oggetto di continue trasfigurazioni. Riempita di evocazioni epiche che Arturo si immagina e alimenta dentro di sé anche tramite quelle sue letture cavalleresche di cui è appassionato e su cui si forma una sua cultura. Egli si darà pure un suo “codice” basato sullo sprezzo dei pericoli e della morte che gli resta l'unico punto oscuro dell'esistenza, vissuta, per tutto il resto, come “limpida e certa”.

Estraneo a qualsiasi relazione, Arturo, nella sua autarchica e anarchica autonomia, interiorizzerà, però, in una forma struggente, la figura materna, rivelando la profondità di quell'istintivo legame, tanto più forte in quanto inesistente e incessantemente desiderato. Ma la madre sarà per Arturo anche colei che nel metterlo al mondo ha dato la sua vita determinando un senso di colpa che lo porterà a fare della madre un oggetto d'amore esclusivo, di fronte al quale l'universo femminile nel suo insieme appare privo di attrazione e incomparabilmente inferiore.

A sua volta di un vero e proprio alone mitico Arturo circonda suo padre, vivendolo, a dispetto della sua presenza occasionale e imprevedibile, come un essere fantastico e favoloso, facendolo oggetto di una smisurata ammirazione, desideroso di ricevere dal padre attenzione e riconoscimento laddove invece i comportamenti di questi sono indisponenti e scostanti, concedendosi in modo paternalistico e altero. Eppure, con quei comportamenti, di fatto anaffettivi ma, nella loro ambiguità e nel loro non detto, fortemente seducenti per Arturo, egli finisce per favorire e alimentare l'immaginario del figlio che vi legge segrete e misteriose motivazioni, convinto che il padre si allontani da Procida perché impegnato in imprese e avventure alle quali anche lui, prima o poi, verrà associato. Arturo quindi accetta quel padre senza discussioni: “L'autorità del padre è sacra”, dice il primo punto del suo “codice”, investendolo - nel feticizzarlo - di valenze affettive fortissime che lo portano ad esserne devoto suddito, godendo ogni momento della sua presenza, quando c'è, ma anche a provare nostalgia e tristezza per il vuoto che sente quando il padre lascia l'isola.

La vita di Arturo si svolge quindi tutta in relazione solo con il “maschile”, non solo per la presenza esclusiva di tali figure nella sua vita, ma anche per quell'atmosfera di misoginia in cui Arturo crescerà nella “casa dei guaglioni”, l'antica e immensa dimora in cui lui e il padre vivono e in cui, si dice, non avesse mai messo piede una donna. Il suo precedente proprietario - quel Romeo l'Amalfitano che con il padre di Arturo aveva stretto un'ambigua e morbosa amicizia, e che prima di morire gli aveva lasciato quella casa, nella quale la sua presenza continua ad aleggiare - si vociferava infatti che avesse in odio le donne e che, in quella casa, vi ammettesse solo uomini, organizzandovi misteriose feste fra maschi, da cui il nome di “casa dei guaglioni”. Tanto che, per una donna, il varcarne la soglia, si riteneva fosse causa di disgrazie e, la precoce morte della madre di Arturo, spentasi in quella casa durante il parto, aveva dato conferma a quella voce.

Tanto più estranea apparirà quindi l' improvvisa irruzione, in quel mondo, della giovanissima Nunziatina, la nuova sposa del padre di Arturo che egli porterà, lì sull'isola, a vivere con loro. La figura di Nunziatina è cruciale nell'economia del romanzo perché ella sovvertirà con la sua presenza e con il suo modo di essere tutta una serie di schemi sin lì consolidati, introducendo in quel contesto un' umanità istintiva e semplice, centrata proprio sull'affettività e sul valore degli affetti. Lungi dall'essere un personaggio elementare e ingenuo Nunziatina si rivelerà al contrario dotata di una grande ricchezza interiore, nonché capace di esprimere una molteplicità di sentimenti, in modi intensamente autentici e spontanei.

Ella, in primo luogo, entrando in quella realtà monosessuata, interromperà il tabù misogino imperante nella “casa dei guaglioni” configurandosi come destinata a svolgere un ruolo di iniziazione alla diversità. La cui consacrazione sarà quando Nunziatina ribalterà il funesto maleficio sulle donne e sulla loro possibilità di essere madri in quella casa che, nel suo caso, invece si realizzerà felicemente. Rompendo, altresì, in tal modo, lo schema maternità-morte-colpa così come vissuto da Arturo in relazione a sua madre. Quella nascita porterà infatti Arturo a capire che la figura femminile donna/madre non è portatrice di morte, bensì di vita, consentendogli ciò l'accettazione della donna e delle donne e liberandolo dalla dipendenza affettiva dalla madre. Inoltre, pur non essendo Nunziatina del posto l'avere ella infranto quel tabù misogino porterà le donne del posto a frequentare lei e quella casa, rivelando ciò la sua capacità di unire intorno a sé gli altri. In questo senso ella sarà anche portatrice del valore dello stare insieme in opposizione all'isolamento di Arturo e di suo padre. E sebbene il suo “darsi” sarà ripetutamente frustrato e irriso da entrambi, rinchiusi nella loro alterigia maschile, il suo potenziale affettivo rimarrà intatto, rivelando ciò la forza di quel suo background umano.

Ciò detto Nunziatina, in realtà, sarà determinante per Arturo anche nel processo di differenziazione dalla figura paterna, che avrà come esito la sua demistificazione. La mancanza di affetto, praticata da suo padre, era stata, per Arturo, l'unico sentimento che egli conoscesse e di conseguenza l'unico che egli ritenesse esistere fra esseri umani. L'affettività di Nunziatina, il rapporto d'amore che ella ha con il proprio figlio, la sua capacità di legare a sé gli altri riveleranno ad Arturo che esiste un mondo degli affetti a cui lui non ha mai avuto accesso e che la sua fanciullezza, da questo punto di vista, non è stata così meravigliosa. Il che lo condurrà a vedere la miseria e l'infelicità presenti nella vita di suo padre, tanto più quando scopre che questi non ha nulla di eroico ma, al contrario, conduce una doppia vita. I suoi frequenti viaggi sono dovuti infatti ai traffici che egli ha in quel di Napoli e scopre, altresì, che suo padre è succube di un amore omosessuale, rispetto a cui proprio Nunziatina ed Arturo gli servono da paravento sociale. E' evidente che il percorso delle scoperte di Arturo raggiunge qui il punto più doloroso e lacerante, nel dover egli constatare l'esistenza della menzogna, con la conseguente distruzione della sacralità del padre che diviene, al tempo stesso, la fine dei miti e delle mitizzazioni.

Ma Nunziatina rappresenterà soprattutto l'entrata dell'elemento femminile nella vita di Arturo, innescando in lui pulsioni contrastanti, per i diversi sentimenti che ella gli susciterà. E nella sua continua sospensione tra romanzo di formazione e favola, “L' isola di Arturo” diventa anche il racconto delle scoperte di Arturo sul sesso e sull'amore e del suo passaggio dall'amore infantile per la madre a quello adolescenziale per la donna. Arturo investirà Nunziatina di significati e vissuti emotivamente sempre più coinvolgenti, rispetto a cui ella si dovrà misurare, stando in quel precario confine tra affettività verso Arturo alla quale non verrà mai meno e innamoramento, sia suo che di Arturo, dal quale con consapevole istinto si ritrarrà.

L'amore tra Nunziatina e Arturo costituisce, in tal senso, uno dei nuclei narrativi più poetici e intensi del romanzo. In entrambi l'amore crescerà in modo inconscio, confuso e frammisto con altri sentimenti. Quello dell'iniziale e fiero disprezzo per il genere femminile e quello della gelosia sia verso suo padre che verso il fratellastro in Arturo. Quello dell'affetto materno e quello della gelosia verso Assuntina la giovane isolana con cui Arturo avrà la sua iniziazione sessuale in Nunziatina. Ma quell'amore “vietato” porterà Arturo a sperimentare una nuova e dolorosa realtà quella di essere, al tempo stesso, amato e rifiutato, in un'ennesima iniziazione ai brucianti disincanti della vita.

Arturo è ormai uscito dal limbo dell'infanzia, in quanto definitivamente fuoriuscito dall'unica felicità possibile, quella dell'innocenza, pura e fuori dal tempo di quella sua “favolosa” infanzia sull'isola. Quell'isola che, come una madre che dà certezze, lo aveva fino ad allora protetto e custodito. Adesso egli comprende che quelle certezze sono infrante e che la vita è altrove e l'isola, in tal senso, si svela ancora di più nel suo significato metaforico di grembo, di luogo della “preistoria” rispetto alla storia e alla coscienza. Arturo lascerà l'isola e quei legami: suo padre, Nunziatina, ormai impossibili da vivere e, l'entrata nella realtà, coinciderà per lui con l'andare in guerra, divaricazione estrema rispetto all'irrealtà in cui egli ha vissuto, il più crudo apogeo che la realtà può avere, laddove, per la Morante, la realtà è sempre un luogo guastato dalla stoltezza degli uomini, di cui la guerra ne è, in questo senso, la suprema e più simbolica manifestazione.

Ma Arturo andrà in guerra anche perché ha ancora in sospeso quell'idea oscura della morte e pur messo sull'avviso che la guerra è “un macchinario di macelleria, un orrendo formicaio di sfacelo” egli accetta di parteciparvi perché “c'è una sfida in sospeso fra me e la morte. Questo schifo della morte mi ha avvelenato la certezza della vita” dirà Arturo in quel momento, in cui è ancora un ragazzo. Ma l' Arturo ormai adulto, che narra quella “certezza della vita”, ha scoperto che è rimasta un mistero: “Così dunque la vita è rimasta un mistero. E io stesso, per me, sono ancora il primo mistero” dirà nelle ultime pagine. Se quindi diventare adulto ha comportato per Arturo assistere alla fine dei suoi sogni, esso non significa però che l'abbia portato al chiarimento della vita e il momento più vero di quella sua vita rimarrà sempre quello vissuto nell'isola incantata.


(Raffaele Santoro)



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