Human Technopole, un progetto da dibattere

Ritorniamo sulla questione Human Technopole con un’intervista ad un esperto, il professor Giorgio Petroni, occupatosi a fondo di analisi e valutazione delle esperienze maturate in Italia ed all’estero nello sviluppo di Parchi Scientifici e Tecnologici. ()
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La scorsa settimana abbiamo scritto del progetto Human Technopole riportando una breve cronaca del convegno tenutosi all’Umanitaria e ritorniamo sull’argomento avendo avuto l'opportunità di conoscere lì il prof. Petroni a cui abbiamo chiesto un’intervista. La questione Human Technopole ci interessa per le sue ripercussioni su Città Studi e le discussioni in atto in merito al trasferimento delle facoltà scientifiche. Riteniamo che tutta la questione meriti un approfondimento da parte dei cittadini che vogliono dire la loro e quindi doveroso anche affrontare l’argomento con un minimo di cognizione di causa, dopo aver sentito i referenti istituzionali, il parere di chi lavora nelle università e negli enti di ricerca e magari di qualche esperto nel settore.

Abbiamo colto questa occasione interpellando il prof, Giorgio Petroni, ordinario di Economia e Organizzazione Industriale, una vita spesa nel mondo dell’industria, dell’università, nei centri di ricerca, coinvolto in particolare nell’avvio sin dal 1982 del Parco Scientifico e Tecnologico di Trieste avendo presieduto il Comitato di valutazione istituito dal MIUR di allora. L’AREA Science Park di Trieste è un parco multisettoriale che ospita una novantina di aziende e centri di ricerca e sviluppo, centri di formazione, laboratori, consorzi e campus per i ricercatori e gli studenti.


1. Prof. Petroni come e perché sono nati i Parchi Scientifici e Tecnologici.

I parchi scientifici nascono negli Usa alla fine degli anni ‘50 quando le grandi aziende si accorgono che per innovare è necessario avviare processi multidisciplinari. Si poteva avere successo in campo farmaceutico o chimico o agroalimentare solo se il problema veniva affrontato in maniera multidisciplinare. Ci si rese conto che le ricerche condotte in ambiti monodisciplinari all'aumentare delle risorse messa a disposizione registravano una minor efficienza produttiva, la curva dei rendimenti decresceva sensibilmente.

In Usa si riteneva da un lato assolutamente necessario collaborare con le università per poter avere una molteplicità di saperi, dall’altro diventava evidente che occorreva superare la separazione tra il sapere e il fare, tra ricerca scientifica e applicazione industriale, il prototipo realizzato nel laboratorio di ricerca non basta, perché non tiene conto di altri fattori, il mercato, la praticità, la flessibilità, lo sviluppo di una tecnologica produttiva impiantistica. Sono nati nel mondo migliaia di parchi scientifici, molti in Francia, Germania, Inghilterra e ci sono quindi tanti esempi a cui far riferimento, mentre da noi sono ben pochi gli esempi. Vorrei far notare che non abbiamo saputo compiere la diversificazione che hanno attuato Germania e Francia negli anni ‘80, quando vanno in crisi in Europa le grandi produzioni industriali energy intensive, come quella siderurgica ad esempio, smantellando i capannoni industriali che ospitavano gli impianti per far posto ad uffici e laboratori e investire nello sviluppo di nuove tecnologie. Da noi questo non è successo, non siamo usciti dalla logica dei distretti industriali fini a sé stessi.


2. Human Technopole nasce come Parco Scientifico e Tecnologico, qual’è il suo giudizio al riguardo?

Il mio giudizio è fortemente negativo perché il progetto non deriva da una attenta analisi e considerazione delle esperienze positive e negative maturate in campo internazionale.

Questo parco scientifico assomiglia ad una città della scienza che nasce senza collegamenti con le strutture industriali e produttive. A Siviglia nel sito che aveva ospitato l’Expo fu realizzata una Città della Scienza, che oggi è una specie di cimitero. Le esperienze già fatte dovrebbero insegnare qualcosa. Le scelte su cosa occorre fare per sviluppare ricerca e tecnologia devono essere mutuate in rapporto alle imprese, al tessuto produttivo. Non si è fatto un minimo di indagini su cosa necessita alle imprese e sopratutto alle imprese minori che costituiscono da noi il cuore del sistema industriale sul quale dobbiamo contare; abbiamo perso dal 2008 ad oggi il 25 % della nostra capacità produttiva, non possiamo immaginare di spendere 150 mln all’anno senza riguardo alle imprese che qui sono assenti.

I Parchi devono essere attrattivi per le imprese che vengono se possono contare su competenze che non hanno, perché trovano un approccio interdisciplinare, perché possono disporre di attrezzature di laboratorio a cui non potrebbero accedere autonomamente . Non si può nemmeno pensare di fare tutto, spaziando dalla robotica, big data, scienza della vita, e altro ancora, è velleitario.

Non c’è stata una analisi preliminare sulle le finalità e le condizioni da soddisfare per far partecipare le realtà produttive al progetto e questo è grave.


3. Su quali basi si possono valutare gli aspetti economici del progetto Human Technopole?

Non si sa come girano i soldi. Chi farà gli investimenti, chi finanzierà i progetti di ricerca, cosa succede al conto economico costi – ricavi? Nessuno l’ha detto. Non voglio esprimere critiche per quello che riguarda le regole da rispettare in questi casi, ma rilevo la carenza di valutazioni oculate degli investimenti strutturali e dei progetti di ricerca da finanziare, sono analisi che vanno fatte, ma al momento non se ne parla e si decide di erogare fondi al buio, non è ammissibile!


4. Da dove provengono in genere i fondi per i Parchi Scientifici e Tecnologici?

Il 70 % delle risorse finanziate dai Parchi Scientifici e Tecnologici provengono da fondi europei, così come avviene per l’AREA Science Park di Trieste.

In Human Technopole non se ne parla nemmeno, e la cosa è assolutamente straordinaria se si pensa che l’Europa sta facendo progetti enormi di grande interesse, alcuni già avviati. I progetti che riceveranno la maggior parte dei contributi saranno quelli che riguardano interventi relativi agli ambiti territoriali transnazionali, le cosiddette macroregioni, tra cui la Macroregione Alpina che comprenderà le zone alpine della Francia, Italia, Austria e Slovenia. La Lombardia avrà un ruolo leader tra le regioni italiane e qui Milano potrà svolgere un ruolo primario, un’occasione da non perdere, a patto che si programmi e si operi per tempo e con decisione su questo fronte.


5. Però l’università e il mondo della ricerca sono sempre rimasti lontani dal mondo delle imprese, sarà possibile cambiare indirizzo?

E’ vero, sopratutto in passato, oggi penso che la situazione sia diversa. Per vincere i concorsi universitari bisognava presentare studi di alto livello, fare ricerca pre-competitiva, ma non si può pensare di impegnarsi nello sviluppo tecnologico senza fare ricerca competitiva; oggi le condizioni sono queste e con l’aria che tira i giovani sono senz’altro più disponibile ad affrontare questa sfida.


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