CASA DELLE DONNE MALTRATTATE 30° anniversario

Parlare di diritti, oggi, diventa sempre più necessario in presenza di un populismo minaccioso e reazionario, perché purtroppo è vero che ogni conquista non è per sempre e l'evoluzione dei diritti delle donne - già consegnata alla storia della nostra Repubblica col diritto al voto e la parità di cittadinanza -, deve essere sempre ribadita con forza. ()
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Un particolare significato assume quindi l'evento del 30° anno della fondazione della “Casa delle donne maltrattate” (CADMI), che sabato 10 novembre ha proposto un confronto con rappresentanti di altri paesi sui percorsi di libertà delle donne messi in campo in conformità  alla “Convenzione del Consiglio d'Europa, Dipartimento delle Pari Opportunità, siglato a Istanbul, l'11 maggio 2011, sulla “Prevenzione e la Lotta Contro la Violenza nei Confronti delle Donne” e che la Legge 119/13 sul femminicidio arricchisce di nuove aggravanti. 

L'evento propone un confronto con altri paesi europei sull'applicazione delle normative e sul rapporto tra le istituzioni e i centri antiviolenza non istituzionali. 

Abbiamo pensato a questo evento per ragionare insieme su quello che sta succedendo alle donne, in Italia e all'estero. La nostra libertà è nuovamente messa in discussione e le donne continuano ad esigerla...”

La Presidente del CADMI, l' Avvocata Manuela Ulivi, sottolinea la necessità che ogni donna segua un suo percorso personale  decidendo come  uscire dalla subalternità, scegliendo un proprio percorso. La condivisione del loro cammino rigenerativo è il centro del lavoro dell'associazione. 

In questi 30 anni 25.000 donne in difficoltà sono state aiutate attraverso ascolto telefonico e colloqui personali. Nel 1991 è stata aperta la prima casa segreta e sono stati oltre 600 i progetti di ospitalità per donne in stato di pericolo. Nel 2014 sono stati svolti circa 1000 colloqui per donne in stato di pericolo e per lo sportello legale circa 200, garantendo la presenza di un'avvocata penalista e una civilista. 

Cadmi si impegna sin dalla prima telefonata  ad affiancare le donne per tutto il percorso di uscita dalla violenza, per ricostruirsi internamente,  rielaborare il passato, perché "non si può fare finta di nulla circa il vissuto, ma occorre dare un senso alla comprensione di come si può subire per anni senza rendersi conto di quanto anche i figli ne soffrano”.

“La misura ce la danno le donne”.”Non crediamo alla modellizzazione dei percorsi... ogni donna ha bisogno di un suo proprio progetto”  La libertà deve inseguire obiettivi sentiti nel profondo, ma sono le donne vittime di violenza che devono uscire, parlare, contare, modificare, volere, decidere il proprio percorso, senza fermarsi mai.

La Casa di Accoglienza delle donne maltrattate  di Milano è il primo Centro Antiviolenza italiano. E' nata all'interno dell'UDI -Unione Donne Italiane – nel 1986 per aiutare e sostenere donne che subiscono maltrattamenti e violenza fisica, psicologica, economica, sessuale e stalking. Ha contribuito alla formazione dell'Associazione Nazionale Di.Re – Donne in Rete contro la Violenza – che aggrega i centri antiviolenza non istituzionali, secondo l'ottica della differenza di genere, collocando le radici di tale violenza nella storica disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali.

Cadmi ha elaborato la Metodologia dell'Accoglienza oggi diffusa in tutti i centri antiviolenza italiani; il lavoro si sviluppa in accordo con le necessità e i desideri che le donne in difficoltà esprimono, in modo da ritrovare la propria autonomia, rivedere la propria storia, riconoscere i maltrattamenti subiti, recuperare le risorse e le abilità che sono state congelate. “Ascoltare, condividere. Un ascolto privo di giudizi”. 

Di questi percorsi hanno parlato le donne che hanno vissuto queste violenze e hanno sottolineato quanto sia importante che venga svolto un programma di prevenzione alla violenza, che aiuti a individuare i segni premonitori e le parole della violenza. Ma anche quanto sia importante, per la vita di quelle donne, che i dati sensibili siano mantenuti segreti. Hanno parlato di questa determinante esperienza di ascolto e condivisione, di ascolto sempre privo di giudizi, di felicità di conoscersi, discutere, definire differenze, stabilire autonomie, di rispetto dell'altro, di volontà di comune comprensione, di cooperare fra donne.

Il CADMI si preoccupa anche della prevenzione: tiene una rubrica sulla violenza il martedì alle 10,30 su Radio Popolare, interviene molto spesso con conferenze nelle scuole. Ma sarebbe tanto più proficuo preparare progetti – che purtroppo hanno un costo, ma quali sono i costi della violenza? - per formare chi lavora nelle scuole, nelle forze di  polizia, negli apparati statali,ma anche i medici e le aziende, perché la difesa dalla violenza parte da un cambiamento culturale radicale, che non è così facile da acquisire e consolidare . 

Oggi troppe persone s'interessano della violenza alle donne, spesso per spettacolarizzare la violenza o sostituirsi alle decisioni delle donne stesse, esistono persino centri contro la violenza gestiti da uomini, persino da Forza Nuova in Toscana.

In Italia le donne stanno facendo una grande rivoluzione ribellandosi e denunciando le violenze, la violazione dei diritti e le argomentazioni vengono ritrovate nelle relazione delle Rappresentanti di Centri Antiviolenza non istituzionali in altri paesi europei: Francia, Portogallo, Slovacchia .

In Slovacchia da 20 anni è attiva Fenestra, che è il primo centro per la formazione degli operatori; gestisce conferenze, monitoraggio, attivismo civico,  promuove la cooperazione tra associazioni, lavora con Stato, Regioni e Comuni. A livello locale con polizia, ospedali, protezione bambini agendo secondo la Convenzione di Istanbul. Non sempre è facile lavorare, perché non sempre gli operatori istituzionali sono preparati e gruppi religiosi avversano la Convenzione.

In Portogallo la violenza domestica è il reato più denunciato, più dei furti. Nel paese sono presenti 39 case d'accoglienza e assistenza create negli ultimi 20 anni. “Essere donna””Soi mulier” combatte con i problemi finanziari e la scarsità di personale. Si riferisce alle linee guida europee e riesce ad offrire una casa d'accoglienza; promuove l'autonomia di queste donne, offre supporto psicologico e giuridico, implementa competenze professionali, aiuta il reinserimento sociale, l'alfabetizzazione, l'accompagnamento anche per i bambini.

In Francia, già dagli anni '70 la spinta del femminismo ha dato origine a case d'accoglienza: dal 1979 è attivo il centro contro la violenza Centre Flora Tristan . 

“Solidarieté femmes France” è ben radicata nei territori, compresi quelli d'oltremare. Rispettando il modo in cui i valori sono considerati, sono stati suddivisi i territori, ogni territorio nomina 2 delegati per un totale di 15 che si riuniscono 3 volte l'anno. Oggi sono presenti 64 associazioni con un centralino telefonico di ascolto e smistamento, un responsabile della rete e uno per ogni apparato statale. C'è un osservatorio di statistica per giustificare gli aiuti economici, che oggi giungono in misura inferiore. 

SOS femmes solidarieté opera a Strasburgo, ha 39 appartamenti e un centro diurno e lavora con le stesse metodologie del CADMI.

Tutte le associazioni presenti definiscono le risposte delle istituzioni ancora inadeguate, distanti, perché non sanno ascoltare. Chi vuole uscire dalla violenza trova intralci negli apparati tecnici che subiscono l'influenza di preconcetti o non godono di una adeguata preparazione, perché la legge non tiene conto del modo in cui occorre operare e richiede protocolli con l'esposizione di dati sensibili, impone richieste, interrogatori. La procura chiede che si dimostri la violenza oltre la denuncia, ma non vengono svolte indagini come si dovrebbe. 

Le donne che vengono aiutate dalla Casa delle donne possono sperimentare uno spazio aperto, come le testimoni raccontano : la casa offre una sistemazione segreta, un sostegno psicologico, un supporto legale, coadiuvate da due responsabili Cadmi. Ascoltare, capire, senza giudicare mai. Così si giunge alla consapevolezza. Si sottopone il test Sara sulla violenza per la valutazione del rischio.

Resta il dolore che però aiuta a riconoscere eventuali segni di comportamenti rischiosi, preludio di violenza.  

Occorre educare a riconoscere questi segni, perché molte donne accettano cose che non possono, non devono essere accettate. Non è possibile però affrontare il percorso da sole, appoggiarsi ad una associazione consente di incontrare persone che sono in grado di iautare e altre donne che possano condividere quel dolore.


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