Talkin’Guccini. Di amore, di morte e altre sciocchezze

Sei personaggi in cerca dell’autore e della sua esuberante stazza di maestro di parole e di vita, in scena al Teatro Menotti sino al 4 giugno.


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Talkin Guccini immagine

Sei personaggi in scena, assortiti così così, a interpretare musiche e testi di uno degli autori più amati della così detta canzone d’autore, maestro (meglio “maestrone”) di sentimenti e di modus vivendi.

La scena si apre, e si chiude, in una vecchia osteria di Bologna, quelle che Guccini ha frequentato e cantato, la sera dell’1 agosto 1980, vigilia di un giorno che rappresenterà, per sempre, uno spartitraffico tra il male e il bene assoluti.

Lo spettacolo-omaggio all’immenso Guccini, certo non solo per il suo metro e novantadue di altezza e per la relativa stazza, voluto da Emilio Russo con la complicità di Juan Carlos “Flaco” Biondini, musicista argentino che di Guccini è stato complice per quarant’anni, percorre le canzoni e i testi che il pavanese ha composto in oltre cinquant’anni di onoratissima carriera, mescolando generi e ricordi, poetiche e invettive, anatemi e malinconie.

Dal ricordo di Modena, “piccola città, bastardo posto”, alle canzoni di impronta goliardica (“I fichi”), ospitata per altro proprio nell’album del 1996 “Di amore, di morte e altre sciocchezze”, alle ballate d’osteria un po’ spinte, “La fiera di San Lazzaro”, che conosce un ’altrettanto saporita versione in lingua milanese, il tutto a comporre un mosaico che vuole restituire, ma non sempre ci riesce, l’indiscussa grandezza dell’autore.

E lo spettacolo va, tra una canzone e l’altra, monologhi vari attinti dal Guccini scrittore e affabulatore (“Croniche epafaniche”, “Vacca d’un cane”, “Cittanòva Blues”…), estri musicali e recitativi che hanno però un andamento un po’ discontinuo.

I momenti migliori sono rappresentati dalla bella voce a cappella di Andrea Mirò che concede un’interpretazione struggente di “Il vecchio e il bambino” e dalla complicità affettuosa di Lucia Vasini che canta “La ziatta”, traduzione in modenese della bellissima “La Tieta” di Juan Manuel Serrat a cui si ispirò molto liberamente anche Paolo Limiti per “Bugiardo e incosciente” cantata da Mina.

Tra alti, e qualche basso, lo spettacolo si chiude con un’interpretazione corale di “Dio è morto” in occasione della quale compare la proiezione dell’orologio della Stazione di Bologna fermo sulle ore 10.25 di quel maledetto 2 agosto 1980.

Poteva mancare il bis? Naturalmente no e non poteva che essere “La locomotiva” che, come noto, chiudeva tutti i concerti di Francesco Guccini.

Per le musiche, sul palco l’impeccabile Alessandro Nidi al pianoforte e il volenteroso Juan Carlos “Flaco” Biondini alla chitarra e alla voce, a cui spetta l’ingrato compito di evocare il più da vicino possibile il Maestrone. Nelle parole e nelle canzoni, se la cava con simpatia e mestiere la brava Lucia Vasini. Di Andrea Mirò, bella voce, si è detto, un po’ indefiniti Enrico Ballardini (ma perché fargli recitare in quel modo “L’avvelenata”?) e Fabio Zulli che non possiede le physique du rôle del frate di gucciniana memoria.

Piacevole, a tratti. Lunghi applausi e cori in sala.

“Ben venga maggio, ben venga la rosa…”.



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