Il Fuori Salone delle botteghe nascoste

Si è chiusa l’edizione 2016 della Milano Design Week (per tutti il Fuori Salone). Ben 1147 gli eventi legati al mondo del design organizzati tra martedì 12 e domenica 17 aprile su tutto il territorio milanese. ()
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La zona 3 dal 2010 ospita gli espositori più alternativi dalle parti di via Ventura a Lambrate. La cittadinanza risponde sempre con una grande partecipazione ed osservando i dati storici, che parlano di almeno 30mila visitatori ogni anno, la domanda sorge spontanea: come può un’esposizione di arredamenti d'interni attirare un pubblico così vasto e eterogeneo?

La risposta è ovviamente da cercare tra i magazzini e le case di via Ventura, che in quest’ultima settimana hanno assistito ad una vera e propria invasione di espositori provenienti da tutte le parti del mondo.

Partecipiamo domenica pomeriggio, qualche nuvola copre il sole, ma Milano è come sempre affollata.

Partiamo dalla stazione di Lambrate, Google Maps alla mano. Aiutati da simpatiche indicazioni stradali scritte a mano su improbabili fogli inchiodati agli alberi di via Viotti, raggiungiamo in breve via Conte Rosso. Qui comincia il nostro Fuori Salone.

Nonostante sia domenica la maggior parte dei negozi ha la saracinesca alzata e una quantità considerevole di persone si intrufola di continuo nei giardini dei condomini. Un po’ spaesati ci lasciamo incantare da un’insolita insegna sonora esposta all’esterno di un piccolo laboratorio di riparazioni TV.

Ci accoglie il titolare del bugigattolo, che effettivamente di mestiere ripara le TV. Attorno a noi schermi malfunzionanti appesi alle pareti come dei lucernari, un piccolo televisore trapassato da parte a parte con un coltello, un crocifisso meccanico fatto di lattine di Coca-Cola e qualche altro arnese semovente dalle fattezze indescrivibili. Il responsabile decide di illuminarci: ogni anno si imbatte inevitabilmente in qualche apparecchio impossibile da aggiustare, e se ne serve per scatenare la sua creatività. E allora ci mostra una bomba fatta di fusibili rotti, che anziché scoppiare suona le canzoni di Mina (il nome dell’opera è “Mina”…), un lampadario fatto di guanti ed il suo retrobottega intasato di ciarpame dal potenziale produttivo enorme.

Ci lascia col suo segreto: l’opera d’arte non può nascere a scopo di lucro, sennò è solo un’opera, non c’è l’arte.

Salutiamo, torniamo su via Conte Rosso, giusto per infilarci nel cortile di una vecchia casa. Increduli lo troviamo pullulante di bancarelle, e non sono bancarelle normali: vendono abat-jour con le lampadine rotte, collane fatte di forchette, sedie su cui non ci si può sedere, insolite forme d’arte che ci fanno comprendere come mai tanta gente si prenda la briga di passare une giornata intera tra le vie di Lambrate.

Poi scoviamo quella che probabilmente è la più nascosta delle botteghe. All’ingresso uno stendino, di fianco allo stendino una tela dipinta, di fianco alla tela una porticciola in legno. Appena dentro Eugenio, professore in pensione e Maestro di Bottega. Si presenta con una coppola messa di traverso, un po’ alla Picasso. Le pareti delle due piccole stanzine sono tappezzate di dipinti a olio che sanno di Lipari, l’isola dove Eugenio è nato e cresciuto. Bisogna muoversi con attenzione, poiché la maggior parte dello spazio è occupato da sculture di ogni genere e dimensione.

Certo questo design non sembra proprio quello che ci aspettavamo, ci sentiamo più nella Firenze Rinascimentale delle botteghe che alla Milano Design Week 2016.

Tra un omaggio a Guernica e una via Crucis profondamente ricca di simbologie uscite dalla testa di Eugenio, ci rendiamo conto di come un quartiere intero si sia trasformato durante una settimana intera per dare spazio agli spiriti creativi più inaspettati.

Fuori dalla bottega di Eugenio si trova una concessionaria Audi senza nemmeno un’auto. O meglio, una la troviamo, ma al posto del motore c’è una lampada gialla che illumina tutta la carrozzeria. Per il resto ovunque ci giriamo troviamo pezzi d’arredamento stranissimi, e bancarelle, bancarelle, bancarelle.

Poi, finita via Conte Rosso, troviamo via Ventura. E qui non ci raccapezziamo più. D’altronde siamo entrambi del tutto ignoranti in materia di arredamento d’interni. Sarà per questo, ma nel visitare capannoni allestiti da designer professionisti giunti da ogni dove ci perdiamo un po’.

Ci sembra che tutto sia in antitesi con quello che avevamo trovato in Conte Rosso. E' un’esposizione di grandi marchi e grandi nomi. Grandi ed enigmatici. Sì perché ci sforziamo, ma la lampada fatta di carne demolecolarizzata proprio non riusciamo ad apprezzarla. E nemmeno la visita virtuale in un bar progettato da un architetto che non è presente alla presentazione del suo lavoro.

Davvero non possiamo capire, e allora torniamo all’arte che piace a noi grazie ad un curioso musicista che si esibisce in mezzo alla strada. Ci fermiamo ad ascoltarlo.

Qui decidiamo di fermare una passante che, ironia della sorte, fa l’architetto.

“Gli anni scorsi l’area dedicata alle esposizioni era più ampia” ci racconta, “qui a Lambrate resta però la possibilità di vedere tanti artisti emergenti che si danno alla sperimentazione, cosa che in via Tortona o Brera manca. D’altronde c’è tanto spazio utilizzabile, e avrete notato come gli espositori si siano impossessati persino delle gelaterie”.

Le chiediamo allora se questo genere d’esposizione non sia difficile per chi non è del settore, e ci risponde:” Il Fuori Salone è tutto uno show, perché all’esterno di quello che è il Salone del Mobile vero e proprio tutto è concesso. Basta optare per le opere che si possono apprezzare meglio, e questa Milano Design Week si rivela pienamente godibile.”

Soddisfatti della nostra breve ma convincente intervista, decidiamo di tornare in stazione. Sulla strada del ritorno, ci rendiamo conto della mostruosa quantità di volantini e bigliettini raccolti durante il percorso, la maggior parte non sappiamo da dove provenga e nemmeno chi ce li abbia dati. Concludiamo che nella nostra ignoranza abbiamo preferito navigare tra i freschi ricordi di una bottega nascosta, piuttosto che dedicare l’attenzione a chi ci consegnava i cataloghi dei più importanti designer del mondo.

E forse in tutti questi concetti di mobili ispirati dal designnon abbiamo neanche trovato tanta luce artistica. Sarà che non ci capiamo niente, ma se un’opera d’arte nasce a scopo di lucro è solo un’opera, non c’è l’arte. E nel citare il tecnico delle TV ci rendiamo conto che questo viaggetto ci ha lasciato qualcosa.


Cecilia Almagioni, Alessandro Colombo

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Re: Il Fuori Salone delle botteghe nascoste
21/04/2016 marco fiorentino
Mi piace l'articolo, ma sostanzialmente non concordo. Il Salone del mobile, con il suo "fuori salone" rappresenta l'evento espositivo più importante della città, molto più della moda che si rinchiude in salotti esclusivi per compratori, con le sue macchine nere che intasano le vie bene del centro.
Il fuorisalone è invece un evento che permea la città, i quartieri, anche quelli periferici e per niente modaioli come Lambrate. Poi non importa se in mezzo offerte culturali, perchè il design è cultura del progetto, ci sono prodotti improbabili, ...li vedi, ti fai un opinione, progetti megagalattici effimeri e milionari presentati da multinazionali, o semplici esercizi di studenti od appassionati. La bellezza del fuorisalone sta proprio nella sua libertà di espressione... e per chiarire comunque il valore culturale del design vi invito a riflettere sul vincitore del miglior allestimento del Fuorisalone di quest'anno.
Sesta edizione del premio Milano Design Award organizzato da elita – enjoy living Italy, in collaborazione con Fuorisalone.it, IED Istituto Europeo di Design, con il supporto del Comune di Milano e condiviso dal comitato Milano Fuori Salone. La giuria di quest’anno presieduta da Antonio Murras ha assegnato il premio a @!#$ Evolution per la capacità di creare un “percorso didattico che scardina tutti gli stereotipi didascalici per proporre un’esperienza sensorialmente rilevante, che promuove una nuova visione della cultura del progetto.” L’esposizione ha presentato pavimenti, sgabelli, tavolini, vasi, piatti, ciotole e anche una toilette, realizzati a partire dalla “Merdacotta”, materiale antitetico alla terracotta derivato dallo sterco di mucca, direttamente dal Museo della Merda. Una riflessione sulla responsabilità dei designer di sostenere la creazione di un mondo sostenibile attraverso l’uso di materiali organici.


 
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